Castaldato di Antrodoco

Epilogo

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info 2020-08-28

Epilogo

Rocchetta di Antrodoco

La storia del Castaldato antrodocano finisce con la pace di Nocera, ma a noi piace raccontare brevemente anche altro, almeno fino a quando non si esaurisce l’importanza del castrum Introduci, altrimenti la storia del medioevo di Antrodoco non sarebbe completa.

La pace riuscì a riportare la concordia tra le fazioni dei Camponeschi e dei Pretatti, ma la regina Giovanna I, per assicurarsi che essa fosse duratura, prese dei provvedimenti molto coraggiosi. Dispose infatti che in caso di nuove ostilità o nuovi accordi tra le due fazioni, questi non potessero essere ratificati se non dopo dieci anni dalla loro stipula, né potessero godere di eventuali indulti da lei concessi.
Ma fece molto di più: tolse quasi del tutto il potere alle famiglie nobili e privilegiò la crescita delle classi mercantili entrando così anche L’Aquila, a pieno titolo nel Rinascimento. Gli aquilani ogni due mesi dovevano nominare un certo numero di uomini che rappresentassero le arti dei letterati, della lana, dei ferrari, delle pelli e dei macellai in proporzione ad agni categoria. Tra questi il capitano regio, nominato dunque dalla regina, doveva scegliere un rappresentante per ciascuna arte e tutti insieme avrebbero costituito il governo della città. La gestione della giustizia però era completamente affidata al capitano regio con l’obiettivo di conservare la pace nella città, nel contado e nella montagna.
Ancora centrale per il mantenimento della pace era la rocca del castello di Antrodoco che, pur bruciata e distrutta dopo la pace di Nocera, venne poi ricostruita e affidata a castellani nominati dalla regina stessa e perciò uomini di sua fiducia. Il primo fu Filippo Caracciolo da Napoli a cui seguì Cristoforo di Valle Regia, ciambellano di Giovanna, e ad essi e ai loro servientes, erano gli aquilani che dovevano corrispondere a proprie spese una paga mensile, oltre ad una parte delle spese per la custodia del castello. L’altra parte dovevano sostenerla i Camponeschi e Giuntarello da Poppleto.
Il 10 luglio 1372 Giovanna I comunicò al capitano e agli aquilani che aveva trasferito il possesso di Antrodoco a Raimondo del Balzo, conte di Soleto e maestro camerlengo del regno, a cui aveva assegnato 30 balestrieri, ma dovevano essere ancora gli aquilani a pagare 15 tarì mensili per ogni balestriere e due once per il castellano.
Tutti i protagonisti della lunga e dura guerra dunque erano stati severamente puniti e Giovanna aveva pienamente nelle sue mani il controllo di tutta la situazione, ma questo fu motivo di nuovi rancori tra aquilani e antrodocani.
Nel 1381 la regina Giovanna assegnò il castello a Rainaldo Orsini, conte di Tagliacozzo, e questa decisione non piacque affatto agli aquilani che avevano rapporti molto contrastanti con gli Orsini, e temettero di aver perso per sempre Antrodoco.
Ma pochi mesi dopo gli uomini di Cittaducale, approfittando del fatto che Rainaldo non abitasse stabilmente nel castello poiché aveva interessi maggiori altrove, se ne impossessarono con la forza, con grande sdegno e dolore degli aquilani.
L’Orsini allora arrivò all’Aquila ospite di Lalle Camponeschi e concluse un trattato con gli aquilani ai quali rivendette il castello di Antrodoco per undicimila fiorini.
Il Comune pagò e Giovanna I inviò ad Antrodoco ben quattro castellani e gli aquilani ne ebbero grande gioia tanto che ogni campana dell’Aquila suonò a lungo a festa. Seguirono anni molto complicati durante i quali il castello fu conteso da più parti e anche dal conte di Montorio che avrebbe voluto sottomettere Montereale, Cittareale e Antrodoco con la sua inespugnabile fortezza.Poi morirono a poca distanza l’uno dall’altro, e dunque uscirono dalla scena politica, i maggiori protagonisti degli eventi che coinvolsero e sconvolsero Antrodoco nel Trecento: Ceccantonio Pretatti fu decapitato nella piazza dell’Aquila nel 1381, Giovanna I deposta l’anno prima da Carlo III d’Angiò, fu da lui fatta assassinare nel 1382, Lalle Camponeschi morì nel 1383 pochi giorni dopo essere tornato da Antrodoco e si disse che fosse stato avvelenato dagli antrodocani. Nel frattempo, però, molti antrodocani si erano stabilmente trasferiti a L’Aquila diventandone cittadini a tutti gli effetti, come testimonia il Registro dei fuochi del 1409 che conferma nel quarto di San Giovanni la presenza di molti antrodocani, provenienti dai castelli di Introducum, Rocca di Corno, Corno e Piscignola.
Questa migrazione, insieme alla fondazione di Leonessa, Città Ducale ed Amatrice, finì per indebolire moltissimo il castello di Antrodoco che fu ridotto nel volgere di pochi anni, ad un ruolo di secondo piano.  L’11 gennaio 1421 Antrodoco fu incorporato in perpetuo nel contado aquilano con atto firmato dalla regina Giovanna II, con tutta la sua terra, il fortilizio, gli uomini, i vassalli, le rendite, i tenimenti, le giurisdizioni e le pertinenze, in modo tale che “esso sia come un membro del suo corpo“, e quindi, da quel momento, fu costretto a pagare all’Aquila la tassa sui pesi fiscali e le altre collette, come tutte le altre terre del contado.
L’incorporazione all’Aquila fu confermata dai re Aragonesi Alfonso V nel 1458, re Ferrante nel 1469, re Federico nel 1496, e dal re Spagnolo Carlo V nel 1503.
Tutte le richieste di riconferma partite dal Consiglio delle Arti dell’Aquila, riportano motivazioni che si riferiscono agli “interessi commerciali dell’Aquila: Antrodoco, con il suo passo strategico posto nella valle del Velino, costituiva uno snodo privilegiato e fondamentale per i traffici interregionali, perché posto al controllo della via degli Abruzzi e della Salaria, principale via di comunicazione, lungo la quale scorrevano rilevanti flussi commerciali che da Roma giungevano ad Ascoli”.

Clarice Serani