Castaldato di Antrodoco

Sulle tracce dei cavalieri dei 5 confini

Sulle tracce dei cavalieri dei 5 confini

castaldato 2020-12-24

Sulle tracce dei cavalieri dei 5 confini

In un precedente articolo “La leggenda di 5 confini” in cui è stata narrata la leggenda dei 5 confini sono  emersi una serie di interrogativi sulle possibili verità che si sarebbero celate dietro l’ormai noto testamento di Fra’ Bernardo. La ricerca di queste verità si è arricchita nel frattempo di nuovi elementi le cui evidenze potrebbero contribuire a far luce sulle travagliate vicende dei cavalieri dei 5 confini che, perseguitati dalla furia del Re Filippo il Bello, alla viglia del 13 Ottobre del 1307 furono costretti a lasciare per sempre la Francia, presumibilmente dal porto francese de La Rochelle, alla ricerca di un riparo sicuro e in attesa di venti migliori. Non prima, però, di aver portato a termine la loro ultima missione e ritenersi liberi dal vincolo di giuramento che li legava all’ordine dei poveri cavalieri di Cristo (cavalieri templari). Fuggivano dal porto della Rochelle portando con se tesori da nascondere e salvare dalle mire del Re? Portavano reliquie da consegnare in porti sicuri o documenti da proteggere in attesa di tempi più favorevoli? Così come tutte le vicende riguardanti i templari, la verità è avvolta nel mistero e di non facile interpretazione. Ma se un cavaliere è costretto alla fuga verso quale meta dispiega le proprie vele? In quale porta andrà a bussare con la speranza di essere accolto e non rinnegato o peggio consegnato nelle mani del proprio nemico? Cosa porterà con se per persuadere l’animo di chi gli offrirà albergo?  Sicuramente andrà in cerca di riparo in territori conosciuti o in comunità in grado di fornire solidarietà e protezione come la potevano offrire solo quei territori i cui governanti sono legati da rapporti di amicizia/parentela come poteva essere il regno di Napoli e in questi territori dove hanno vissuto, volenti e nolenti, avranno lasciato segni del loro passaggio. Alcune correlazioni di eventi ci spingono a ritenere, come vedremo, che i 5 fuggitivi avevano chiaro in mente la loro metà conoscendo bene, almeno uno di loro, il maresciallo Guy de La Roche, i luoghi verso i quali erano diretti in quanto già frequentati in passato. Salirono sul monte Terminillo i primi di Dicembre e attesero il 21 Dicembre del 1307 non solo per rompere il giuramento, ma per portare a compimento la loro ultima missione di cavaliere templare.

Andiamo con ordine ed analizziamo tutti gli indizi che abbiamo a disposizione riguardanti, con l’obiettivo non di fornire certezze, ma alimentare dubbi e fornire contributi utili a far luce su una vicenda che dopo 700 anni è tornata recentemente alla ribalta ed è viva più che mai.

L’indizio del numero 5

“co’  li mie confratelli”

Dalla leggenda apprendiamo che la spedizione era capitanata da un maresciallo dei templari, Guy de la Roche, e altri 4 cavalieri. Nella gerarchia dei templari sappiamo che il maresciallo era il responsabile delle campagne militari, della disciplina e dell’organizzazione delle truppe. Il numero di 5 elementi che compongono il gruppo non sembra affatto casuale. Molte storie e imprese relative ai templari ci parlano spesso di 5 cavalieri quasi a suggerire l’idea che non di semplice fuga si trattasse, ma di un’ ultima missione da portare a temine prima di rompere il giuramento all’ordine. Una su tutte, nel 1271 cinque cavalieri (Simon di Clarendon, Ranieri di Panico, Vanni delle Rondini, Ugo di Clarendon, Giacomo di Altogiovanni), uniti dalla volontà di scoprire il luogo nel quale alcuni membri traditori della corte di Francia tengono nascosta la Sacra sindone, partono per un viaggio che li condurrà attraverso l’Italia fino in Grecia dove è occultata la Santa Reliquia.

Il Monte Terminillo

“co’ li mie confratelli fugendo sopra li Monti di Rieti vedemmo l’orrore e furia del boia del Re di Francia. Ne’ la neve, pregammo pei fratelli, per tradimento de’ lo Papa indegno”

Dalla leggenda sappiamo che la nostra compagnia arrivò sul monte Terminillo e si accampò su quella zona che ancora oggi porta il nome Pian de Rosce, vista l’assonanza del nome risulta molto probabile che il nome Rosce sia proprio un riferimento esplicito, nonché omaggio, al maresciallo templare Guy de La Roche. 

mappa del Terminillo

In questa zona è possibile individuare i resti di una struttura che presumibilmente potrebbe essere stata utilizzata al tempo come ricovero per ripararsi dal freddo gelido del rigido inverno in attesa del 21 Dicembre giorno che unì indissolubilmente il luogo dei 5 confini alla della spada nella roccia.

“Lo pensiero a li confratelli che già stanno nel Signore e mandai a’ quattro venti ne’ lo giorno di Santo Giovanni. 

A pian de Rosce attesero dunque il 21 Dicembre, giorno appunto di San Giovanni evangelista, per salire sul punto della montagna chiamato dai locali colle del termine, per rompere il giuramento, attraversare i confini dello stato pontificio e andare ognuno per la propria strada cercando riparo nei territori del regno di Napoli.  Perchè salire su monte Terminillo e non raggiungere direttamente la meta passando per il tragitto più breve ossia la Salaria? Perchè, anche se in fuga e nonostante il freddo, hanno dovuto attendere il 21 Dicembre sulla montagna? Innanzitutto bisogna ricordare che in quanto in fuga era difficile per un drappello di 5 persone, probabilmente con al seguito un carico compromettente (si basti pensare che il traffico di reliquie era al tempo sanzionato con la pena di morte), passasse inosservato il confine. Inoltre il monte Terminillo, il cui nome trae origine proprio dalla presenza di un cippo che segnava il confine tra lo stato della chiesa e  regno di Napoli, era ricco di vie alternative battute dagli abitanti della zona che, come vedremo, venivano utilizzate per scambi commerciali. Nei pressi dell’attuale 5 confini sono visibili alcuni luoghi e strutture che meritano comunque di essere annotate. Non poco distante dall’anello di Terminillo, strada circolare che cinge il colle del Termine, e dalla spada nella roccia, sono visibili i resti di  una struttura appunto ad anello che nel ripido pendio della montagna formano uno spiazzo pianeggiante ricavato da un terrazzamento artificiale. Era questo il luogo utilizzato dai 5 cavalieri per officiare il rito di scioglimento del giuramento dei cavalieri per lasciare ognuno libero di confondersi con le popolazioni locali radunatesi in questo luogo in occasione di qualche evento che ogni anno attirava sulla montagna le popolazioni locali. Ricordiamo che rituali legati agli eventi astronomici non erano rari anzi tutt’altro. Magari era proprio questo il motivo del loro attendere, l’aspettar l’occasione che gli permettesse di confondersi tra la popolazione e passare il confine senza destare sospetto.   

Sempre non distante da questi luoghi c’è la località di Campo Forogna, un antico insediamento in cui le popolazioni pedemontane si trasferivano in altura per l’alpeggio o magari per sfuggire alle scorrerie barbariche degli invasori, sul cui toponimo si sono fatte varie ipotesi che vale la pena ricordare:

  • «Campus Forum» ovvero il luogo dove nella piana dei «Cinque confini» convergevano la popolazioni di valle per farne luogo d’incontro e di mercato
  • campo del brigante Forogna che secondo la leggenda imperversava a valle per poi risalire a godersi il frutto delle sue scorrerie. Sempre secondo la leggenda tale brigante utilizzata il sito dei tre faggi per nascondervi il tesoro della refurtiva.

Non è remota l’ipotesi che i 5 cavalieri, consci di un evento che avrebbe convogliato in loco più comunità circostanti, avessero atteso tale giorno per negoziare il rifugio e la protezione di cui avevano bisogno. Una volta assicurati i confratelli, Guy de La Roche era dunque libero di tornare indietro per chiedere riparo in un convento dove sposare la dottrina di San Francesco. Ogni cavaliere, partito dai 5 confini, intraprese un percorso differente che lo portò a raggiungere i borghi citati dalla leggenda e che ancora oggi hanno il punto dei 5 confini come punto di confine.  

Guy de La Roche

“Io Bernardo, che fui Guido de’ Roche di Francia de’ Duchi di Grecia, nell’anno 74 di mia vita”

Figura primaria della leggenda è Guy (Guido) de La Roche che dalla leggenda apprendiamo essere stato maresciallo dell’ordine dei cavalieri templari. Dalla storia invece apprendiamo che, al tempo in cui avvennero i fatti, effettivamente è esistito tale Guy II de La Roche, nato nel 1280, cavaliere templare e ultimo discendente della famiglia de La Roche che fu duca di Atene dal 1287, nel 1307 venne nominato balivo di Acaia e morì il 5 Ottobre 1308. Fino al 1296 anno di compimento della sua maggiore età, il suo ducato venne affidato in reggenza alla madre Elena Angelina Comnena. Le vicende della famiglia de La Roche sono legate fin dalle origini alla protezione delle reliquie sante. Ottone della Roche primo duca di Atene si impossessò della sacra sindone da Costantinopoli al tempo della IV crociata nel 1204. Al 1294 risale la traslazione della Santa Casa a Loreto via mare per mano della famiglia Angeli (come già detto all’epoca reggente del ducato di Atene era la madre di Guy II La Roche membro della famiglia angeli) e il ritrovamento nelle fondamenta della casa di due monete di Guy II de La Roche. Le vicende di Amaury de La Roche erano legate a quelle dell’unico gran maestro templare italiano (1256-1273) Tommaso Berardi che nel 1272, sempre nell’ambito di protezione delle reliquie, fece recapitare a Londra frammenti della Vera Croce, assieme alle reliquie dei santi Filippo, Elena, Stefano, Lorenzo, Eufemia e Barbara. Al fine di ribadire il legame che teneva unite le sorti di de La Roche con l’Italia centrale e con d’Angio’, c’è da dire che la sorella di Elena, Ithamar Angelina Ducas Comneno, andò in sposa nel 1294 a Filippo d’Angiò. In quella occasione il ducato di Acaia passò nelle mani di Filippo e tale matrimonio si celebrò proprio a L’Aquila, particolare che potrebbe aver portato il nostro Guy de La Roche, duca di Atene e futuro Balivo di Acaia, nei territori interessati dalla leggenda. Alla famiglia della Roche apparteneva anche un certo Philippe, precettore de La Rochelle, il porto templare dal quale, alla vigilia del famoso venerdì 13 Ottobre del 1307, salparono 18 galee in fuga dalla Francia e dall’ordine di cattura emanato da Filippo il Bello. E’ molto probabile che tra i cavalieri partiti da La Rochelle ci fosse anche Guy II de La Roche con gli altri quattro. Il mistero della morte di Guy II de La Roche si tinge invece di giallo poiché viene datata 1308, ossia l’anno dopo essere stato nominato balivo di Acaia, ma la sua tomba non è mai stata trovata né in Acaia, né in Atene né tantomeno in Francia, come non c’è traccia della sua presenza nella storia del principato di Acaia. Non dimentichiamo che dal 1308 in poi si sarebbero consumati i processi ai templari che nella vicina L’Aquila si svolsero tra il 3 al 13 aprile 1310 e dai quali l’unico modo per sottrarsi era la morte, almeno apparente.  Effettivamente da quanto ci racconta la leggenda, nel 1308 il nostro cavaliere morì per rinascere con il nome di Frate Bernardo che vivrà così a lungo da assistere alla morte dei suoi confratelli e rivelare, solo in punto di morte, la sua vera identità e storia.

I luoghi della leggenda

Rieti

Guy de La Roche bussa al santuario della Foresta e solo poco prima di morire rivela la sua vera identità.

Il santuario della Foresta è uno dei santuari eretti da San Francesco in Valle Santa e il primo che si incontra sulla via che da Monte Terminillo passando per Lugnano conduce a Rieti.

cammino di Fra Bernardo

Cittaducale

“Uno di loro, al servizio di Carlo d’Angiò, partecipa alla fondazione di Cittaducale nel 1308”

mezzo busto cavaliere Chiesa di Santa Cecilia in Cittaducale

A tal proposito nella chiesa di Santa Cecilia ritroviamo un mezzo busto dall’aspetto di cavaliere emblematico per il significato intrinseco in esso contenuto.
Il cavaliere sorregge un libro sul quale si legge la scritta “Ego Sum Lux”, nella parte mancante del libro sono chiaramente visibili due lettere M D che fanno intuire la scritta MUNDI, a completamento della scritta “Ego Sum Lux Mundi”.
Quale personaggio reale sia raffigurato nel mezzo busto è ignoto anche agli abitanti del luogo, ma la croce templare e l’aspetto da cavaliere lasciano intendere una presenza templare che va ben oltre il 1308 e comunque non passa inosservata.

croce delle otto beatitudini
esempio croce templare

Sempre a Cittaducale sono presenti altri simboli degni di nota. La Croce delle Otto Beatitudini ne è un esempio. Dopo lo scioglimento dell’ordine dei templari, i cavalieri Ospitalieri di San Giovanni (noti anche come i Cavalieri di Malta) ricevettero in eredità i possedimenti e beni materiali e morali dei templari e continuarono il progetto templare. 
A testimonianza di questa continuità dai cavalieri templari e i cavalieri di Malta differenti sono le croci di questa fattura disseminate in zona susseguenti al 1300, citiamo come esempio la croce presente nella chiesa di San Giovanni Battista a Castelfranco. Quella della presenza dei cavalieri di San Giovanni che si rafforzano e raccolgono l’eredità di sostegno e protezione dei pellegrini lasciata dai templari sarà una costante che sembra valere per tutti i territori interessati dalla leggenda.   

Sempre nel centro storico è presente un esempio di croce templare raffigurata nell’architrave di un’abitazione. 

Un ultimo rinvenimento di notevole importanza sono le incisioni riportate su una delle campane della chiesa di Sant’Agostino sita in via Duca Roberto, dove si scorge una croce di fattura simile a quella del mezzo busto del “cavaliere” e, a sinistra, quello che sembra essere un probabile 1308, anno di fondazione della città.  

campana chiesa Sant’ Agostino

Micigliano

“Uno riesce a nascondersi nella comunità di Micigliano”

Il territorio di Micigliano con l’Abbazia di San Quirico e Giulitta ha rappresentato sia nel basso che alto medioevo un importante punto di riferimento per le comunità religiose e civili della valle del Velino.
Fondata nella prima metà del X secolo dai Benedettini le sue vicende erano strettamente legate all’Abbazia di Farfa. Dall’abbazia di San Quirico proveniva infatti il famoso e potente abate Ugo di Farfa (abate a Farfa dal 997 al 1038) nato ad Antrodoco e appartenente all’importante famiglia dei Marsi, la stessa famiglia di Tommaso Berardi gran maestro templari e signore di Poggio Bustone e Contigliano. 
Una lapide proveniente dall’abbazia di San Quirico e Giulitta, risalente al 1179 al tempo in cui fu consacrata la chiesa da parte di 5 vescovi delle diocesi vicine, dopo essere stata ricostruita dall’abate Sinibaldo a seguito della distruzione avvenuta per mano normanna, ci ricorda che:

  • la chiesa conteneva molte reliquie tra le quali le reliquie dei Santi Giovanni Battista, Andrea e Bartolomeo apostoli, Quirico e Giulitta martiri, Stefano protomartire, San Giovanni e Paolo, Biagio, Sebastiano, Eleuterio, Erasmo, Ippolito, Stefano papa, Severino, Vittorino, Cosma, Damiano, Giuliano, Savino, Abbondio e Abbondanzio. Nell’altare di Santa Maria (= della Madonna), cioè in quello di destra, c’è il legno della Croce, le reliquie delle Sante vergini Cecilia, Cirilla, Elena, le pietre del Sepolcro del Signore e di Santa Maria. Nell’altare dei confessori Benedetto ed Egidio, cioè in quello di sinistra, ci sono le reliquie di Giovanni Crisostomo, i sandali di San Gregorio, frammenti di roccia della natività (della grotta di Betlemme) e del Calvario, una pietra di Santo Stefano.
  • Erano particolarmente venerati i santi romani ed Orientali.
  • L’abbazia era tenuta in grande considerazione visto l’elevato numero di vescovi che intervennero per la consacrazione della stessa.

Molte di queste reliquie sono guarda caso le stesse che vennero recapitate a Londra nel 1272. Questo a testimonianza del fatto che la famiglia dei Marsi, come accennato in precedenza, insieme alla famiglia de La Roche, nell’alto medioevo si ritrovarono al centro del traffico di reliquie sacre. C’è motivo di pensare che la meta di uno dei 4 era quello di raggiungere e cercare protezione proprio in quella Abbazia con la quale la famiglia di De La Roche aveva avuto legami nel passato e probabilmente continuava ad avere.   

lapide San Quirico e Giulitta conservata ad Antrodoco
palazzo Blasetti
Torre Campanaria

Sempre a Micigliano analizzando lo stemma cittadino si possono ritrovare alcuni simboli accostabili all’ordine templare.

stemma del comune

particolare fonte battesimale chiesa di San Biagio

Nello stemma del comune, oltre alla mezzaluna, un monte e sei spighe, troviamo una stella a sei punte, errata interpretazione del simbolo originale da cui lo stemma trae origine e cioè un particolare del fonte battesimale presente nella chiesa di San Biagio dove si può riscontare che, quello che è stato erroneamente interpretato come una stella, altro non è che il fiore della vita. Sempre nel centro storico, come chiave di volta di un architrave, compare un simbolo IHS dalle chiare fattezze templari come possiamo vedere dal confronto con croce del gran maestro Tommaso Berardi.

IHS templare
croce templare
rosa templare

Borgo Velino

“Uno riesce a nascondersi nella comunità di Borgo Velino”

Molti sono i legami che sembrerebbero inspiegabilmente unire Borgo Velino ai templari e indirettamente alla Francia. In primis il santo protettore di Borgo Velino San Dionigi di Parigi è un francese. Nella stessa chiesa di San Dionigi, Rustico ed Eleuterio, le cui più antiche notizie risalgono al 1380, possiamo ammirare sul portale di ingresso una chiara croce patente. 

croce patente templare – chiesa San Dionisio, Rustico ed Eleuterio

Nel centro storico del paese sono state rinvenuti interessanti simboli come alcuni fiori della vita, croce patente e rosa templare.  

sostegno di architrave
fiore della vita

sostegno architrave
rosa templare
stemma con croce patente templare

Una curiosità riguardante Borgo Velino la ritroviamo nello stemma del comune dove in un’ immagine relativo allo stemma originale sembra comparire una croce non riportata nello stemma del comunale, le cui fattezze e forma sono degne di approfondimento.

Stemma originale di Borgo Velino
particolare dello Stemma

Collerinaldo

A Collerinaldo anche la stessa origine del nome sembra essere legata alle vicende templari, non si sta parlando del Rinaldo protagonista delle vicende dell’Orlando furioso ma di tale Rainaldo de “Barrili” cavaliere templare legato al gran maestro Tommaso Berardi, da qui l’origine e la diffusione del cognome Berardi molto diffuso in questi territori. Sempre da Collerinaldo ci giungono una serie di simboli degni di essere annotati. 

croce patente
rosa templare
fiore della vita e croce patente
croce templare

Castel Sant’Angelo

Il borgo di Castello appartenente al comune di Castel Sant’Angelo rappresenta un chiaro esempio del fenomeno dell’incastellamento che portò nel medioevo, con lo scopo di sottrarsi alle nuove ondate di invasioni saracene, ungare e normanne, alla costruzione di castelli fortificati. Anche qui, come per tutti gli altri borghi, non mancano esempi di chiara origine templare.

stemma con croci templari
croce templare

Per ulteriori particolari sulla leggenda e simboli di Castel Sant’Angelo si rimanda all’articolo recentemente pubblicato su format ‘le passeggiate nelle leggende’ a cura dell’associazione Cotilia Green.

Antrodoco

Antrodoco con i suoi riferimenti che vanno ben oltre il 1300 e 1400 rappresenta un crocevia importante che lo pone al centro delle vicende anche se non espressamente menzionato nella leggenda. Antrodoco è l’unico comune che ha una via intitolata ai 5 confini, che idealmente parte dalla stradina di montagna utilizzata in passato per raggiungere dalla popolazione locale il monte Terminillo, dietro quella che un tempo era la rocca fortificata del paese.

via dei 5 confini

Tra i vari comuni citati Antrodoco, è quello dove si riscontra nei secoli successivi una presenza costante ed ininterrotta dell’attività degli eredi di cavalieri templari mediante le opere portate avanti dai Cavalieri di San Giovanni che, dopo la messa al bando dei cavalieri templari, ereditarono beni e ricchezze materiali e immateriali. Alla congregazione di San Giovanni infatti si deve la commissione degli affreschi e la conservazione del Battistero di San Giovanni Battista. Ad Antrodoco appartiene il crocifisso attribuito al Guardiagrele databile intorno al 1450, attualmente conservato presso Il Museo diocesano dei beni ecclesiastici di Rieti, contenente una chiara croce patente. Mentre nella chiesa di Santa Maria Assunta è presente una croce di Malta in bassorilievo del 1830. In quello che resta di originale della chiesa di Sant’Agostino, oggi completamente restaurata e convertita sala teatro cittadino, è stato individuato un Agnus Dei di periodo sicuramente antecedente al 1307.  

crocifisso del Guardiagrele
croce di Malta – Santa Maria Assunta
agnus Dei chiesa San Agostino
simbolo ihs portale del centro storico

Un ruolo centrale per la numerosa quantità di simboli spesso di non facile collocazione lo riveste la chiesa di Santa Maria extra Moenia con l’annesso Battistero di San Giovanni, oggetto di numerosi restauri e preservatosi fino ad oggi in ottimo stato. La presenza di una scacchiera, posta su una parete esterna della chiesa di chiara evidenza templare, ci rimanda alle ben più famose scacchiere presenti, per esempio, nella chiesa di Sant’Ambrogio a Milano o in quella di San Lorenzo a Genova. Nella soglia del portale di ingresso secondario è presente altra croce templare.  

croce sommità del campanile

Anche il portale della chiesa contiene simboli templari come Agnus Dei, serpente, stella a 6 punte ed altri simboli ma da non prendere in considerazione ai fini della nostra indagine in quanto proveniente dalla chiesa dell’Aquila di San Nicola d’Anza, chiesa andata distrutta con il terremoto del 1703.

particolare portale di Santa Maria

Battistero San Giovanni

Passando al Battistero annoveriamo la presenza di una croce templare sopra la porta di ingresso, tre croci patenti affrescate su finestra ingresso luce che poi si è rivelato, mistero nel mistero, essere un orologio solare.  

croce patente templare
3 croci patenti su finestra ingresso luce

Il 21 giugno di ogni anno la luce, entrando da una finestra opportunamente aperta su uno dei sei lati che compongono il battistero, va a colpire la figura di un sole rappresentato nell’affresco della crocifissione.

raggio di sole colpisce la raffigurazione del sole
particolare dell’ orologio solare

Il 21 Giugno, giorno del solstizio di estate, un raggio di luce entra dalla finestra e va ad illuminare il colonnare affresco di San Giovanni contenente raffigurato un templarissimo Agnu Dei, la luce muore in questo caso sul volto di San Giovanni.

luce su Agnus Dei

volto di San Giovanni Battista
Agnus Dei

Che il fenomeno fosse ben noto al tempo della sua costruzione o successivi restauri è testimoniato dalla stessa architettura del Battistero, a pianta esagonale, in quanto la visibilità all’interno dello stesso è garantita da un lucernario presente sul soffitto mentre la finestrella dalla quale entra il raggio di luce rappresenta l’unica finestra che si apre in uno dei 6 lati della struttura in una posizione tra l’altro non centrata.

battistero Santa Maria

La stessa pianta del Battistero la cui forma esagonale rappresenta un unicum per quanto riguarda i battisteri costruiti all’esterno della chiesa se osservata dall’alto ha una forma che rimanda al fiore vita.  

Battistero
vista dall’alto
Fiore della vita
Santuario Fonte Colombo

Infine molti particolari dei cicli pittorici contenuti al suo interno possiedono riferimenti accostabili a simboli templari. Ne è un esempio San Michele Arcangelo che impugna una spada templare e indossa un vestito con raffigurata una croce templare e il Cristo morto che contiene sull’aureola un’altra croce sempre di fattezze templari.

San Michele Arcangelo
croce templare su vestito
croce templare su aureola

Il cammino dei 5 cavalieri

Giocando un po’ con la fantasia proviamo ad immaginare come andarono i fatti relativi alla leggenda dei 5 confini.

Alla vigilia del 13 Ottobre del 1307, avvertiti per tempo dell’imminente mandato di cattura che avrebbe colpito l’ordine dei cavalieri templari, i 5 cavalieri salparono con una delle 18 galee dal porto de La Rochelle alla volta dell’Italia con un’ ultima missione da compiere prima di poter rompere il giuramento che li teneva legati all’ordine. Circumnavigarono la Spagna, passarono per le bocche di Bonifacio e approdarono al porto templare di Civitavecchia. Ricercati dagli uomini di Filippo il Bello con il papa Clemente ostile si diressero verso i confini dello stato pontificio con lo scopo di raggiungere i confini dello stato pontificio, oltrepassare i confini e raggiungere il regno di Napoli. Giunti in valle Santa, salirono sul monte Terminillo e, nel rigore dell’inverno, si accamparono su quello che oggi viene chiamato pian de Rosce (o più precisamente pian de La Roche) in attesa del 21 dicembre. Sul monte Terminillo termina la loro missione, tesori da nascondere o reliquie che siano, con molta probabilità attesero la data del solstizio d’inverno al fine di poter incontrate rappresentanti delle comunità locali che si radunavano ogni anno sulla valle dei 5 confini per commercio di prodotti in attesa del natale. Una volta assicurata la sorte di ciascun cavaliere, il più scomodo di tutti da proteggere, Guy de La Roche torna indietro e chiede asilo nel convento francescano della Foresta in attesa di notizie positive dal fronte del processo e destino dell’ordine. Ogni anno, fino alla loro morte, il 21 Dicembre i 5 cavalieri si incontrarono sul monte Terminillo, approfittando probabilmente dello stesso evento che gli aveva permesso di passare indisturbati i confini di stato, per vigilare su quanto era stato compiuto nella loro ultima missione tesoro, reliquie o documenti che siano. Mantenere il tutto in territori di confini avrebbe permesso di spostare lo stesso “tesoro” tra lo stato pontificio e il regno di Napoli in funzione dell’evolversi delle vicende storiche e o al precipitare delle stesse. I quattro cavalieri si mescolarono tra le varie comunità. Entrando nell’ordine dei Cavalieri di San Giovanni continuarono a gestire i beni dell’ordine dei cavalieri templari che nel frattempo erano stati ereditati dagli stessi Cavalieri di San Giovanni e nell’opera di protezione dei pellegrini che a partire dalla caduta di Gerusalemme in poi si riversarono sulla valle Santa e sulla città dell’Aquila, città costruita su pianta speculare a quella di Gerusalemme. Non è un mistero che l’Anno Santa, coincidente con la fine della pestilenza del 1348 portò lungo la via Salaria schiere di pellegrini provenienti dall’Abruzzo, dalle Marche, dal Piceno e in generale dai centri adriatici inclusa la Puglia, come non è mistero che la prima porta santa fu quella istituita da Celestino V nella basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila. A testimonianza di questo mutato interesse dei pellegrini per la città dell’Aquila è doveroso citare la chiesetta della Maddalena e l’ospedale annesso, le cui prime notizie certe si hanno a partire dal 1327, ristoro per i pellegrini che si recavano in pellegrinaggio alla città dell’Aquila. 


Scopo del presente articolo non è quello di affrontare una trattazione rigorosa e scientifica sull’argomento, ma fornire una raccolta degli indizi e i particolari fin qui emersi che potrebbero contribuire a far luce sulle possibili verità e misteri che si celano dietro la leggenda dei 5 confini e stimolare il contributo di chi fosse a conoscenza di ulteriori particolari. Avere la lista dei templari che salparono dal porto de La Rochelle oppure il testamento originale di Frà Bernardo per esempio potrebbero fornire un contributo fondamentale nella ricerca della verità. In fondo ogni leggenda, diversamente dalle favole, porta intrinsecamente delle verità storiche più o meno nascoste e la spada nella roccia, con il messaggio di pace che ci ha lasciato Frà Bernardo, meritano i dovuti approfondimenti. Molte delle fonti utilizzate per la trattazione sono state estrapolate dallo studio di Guido Carlucci che da tempo sta portando avanti uno studio sulla presenza dei templari in Valle Santa e nella Valle del Velino, a questo studio si rimanda per eventuali approfondimenti su trattazioni specifiche. 

Ruggero Fainelli