Antrodoco “Castrum” di confine
Il Trattato di Benevento del 1156 tra il Papa Adriano IV e il re di Sicilia Guglielmo I, pose fine a lunghe lotte tra il papato e i Normanni i quali, conquistata la Sicilia e molta parte del sud Italia, avrebbero voluto allargare i loro possedimenti molto più a nord, occupando le terre della chiesa. A scendere a patti con i sovrani di Altavilla il papa era stato costretto dopo l’abbandono dei suoi alleati, ma anche per l’imperversare della peste tra i suoi soldati, e per la posizione avversa degli stessi cittadini romani che lo avevano cacciato dalla città eterna. Per tale motivo Adriano IV si era rifugiato a Benevento, ancora territorio papale, ma le milizie normanne si erano pericolosamente avvicinate.
Con la pace il papa dovette rinunciare a molte terre dell’Italia meridionale conquistate in guerra dall’esercito normanno, ma in cambio ebbe la promessa da parte di re Ruggero della ricostruzione della città di Rieti incendiata sette anni prima (1149).
Questo trattato però non venne mai riconosciuto dall’imperatore Federico I di Svevia, detto il Barbarossa, che, pure alleato del Papa, lo aveva abbandonato nel momento di maggior pericolo per il Papato.
Furono questi motivi a provocare una estrema instabilità politica sulla linea di confine, dove avvennero continue e lunghe controversie, che sfociavano spesso anche in lotte e scaramucce; controversie che si sono protratte fino ai tempi moderni e contemporanei (si pensi al problema dei confini tra Antrodoco e Borgovelino ancora oggi irrisolto, seppure fortunatamente sopito).
Era dunque una situazione molto complessa e instabile non solo dal punto vista geografico, visto che investiva anche aspetti sociali, politici, militari ed economici, importanti per i paesi di confine che per due secoli circa si videro oggetto di continui tentativi di occupazione ora da parte dello Stato Pontificio, ora da parte del Regno Meridionale.
Antrodoco che faceva parte del Regno Meridionale proprio ai limiti della frontiera, si trovò proprio in questa difficile situazione poiché occupava una posizione di importanza strategica potendo controllare la via Salaria, ma anche ciò che rimaneva dell’antica via Cecilia, comunque ancora in funzione, che portava al territorio amiternino. Era dunque assai ambito dall’una e dall’altra parte.
Fu così coinvolta nelle oscure e fratricide lotte tra Guelfi e Ghibellini combattute tra i territori di Antrodoco, L’Aquila, Rieti e Cantalice, con tante stragi, campagne distrutte, fame e sofferenze degli abitanti, che spesso si procuravano di che sopravvivere aggredendo e derubando i mercanti di passaggio. Ed ogni volta, cioè spesso, seguivano riorganizzazioni territoriali e condizionamenti che limitarono fortemente la vita sociale degli abitanti e lo sviluppo economico dei luoghi.
Intanto il vicus romano si era trasformato nell’alto medioevo in una curtis, possesso per qualche tempo dell’Abbazia di Farfa da cui dipendeva l’Abbazia dei Santi Quirico e Giulitta, poi in castrum, sede di un castaldato minore del Comitatus Reatinus, senza per questo essere mai abbandonato dagli abitanti.
Da qui cominceremo a raccontare le storie del Castaldato interocrino…