Castaldato di Antrodoco

Antrodoco e Carlo I d’Angiò

Antrodoco e Carlo I d’Angiò

info 2020-06-27

Antrodoco e Carlo I d’Angiò


Racconteremo qui quanto rappresentato nel corteo storico dal rione LA CONA e cioè gli eventi del periodo 1268-1273. Sono questi anni molto turbolenti poiché un nuovo ordine, iniziato con la fondazione della nuova città dell’Aquila, sta prendendo il sopravvento a danno dei feudatari, e si moltiplicano controversie tra gli stessi feudatari e tra loro ed il re Carlo I.

Nel 1268 il re Carlo I, vincitore della battaglia di Tagliacozzo, aveva messo fine al sogno di Corradino di Svevia, ultimo erede della dinastia germanica, di ricostituire il grande impero di Federico II.
Quella battaglia passò alla storia per le atrocità bestiali dei soldati francesi e la tattica messa in atto da Carlo I, una tattica modernamente apprezzabile (non c’è niente che ricordi la concezione, largamente diffusa, della battaglia come giudizio di Dio) secondo il modello saraceno mutuato da Erard de Valéry, un vecchio amico del tempo della crociata nel delta del Nilo.
Alcuni dei grandi protagonisti dell’esercito svevo fuggiaschi dopo la sconfitta di Tagliacozzo, passsarono per Antrodoco per raggiungere e chiedere protezione al papa. Tra questi Enrico di Castiglia che mentre fuggiva fu preso prigioniero presso Rieti e qui trascorse molti anni in carcere. Corradino invece riuscì a raggiungere Roma.
In quell’occasione aveva guadagnato la fiducia del re la famiglia De Palarago e così Carlo I, a guerra finita, intese ringraziare i due fratelli Guglielmo e Raimondo affidando loro due importanti castelli: a Guglielmo assegnò il castello di Antrodoco (castrum Introduci) e a Raimondo il castrum S. Albani, entrambi di grande importanza strategica.
Pochi mesi dopo Carlo I propose a Gugliemo di Palarago che se avesse sposato Alterida, figlia di Gualtiero, gli avrebbe assegnato anche un feudo in Abruzzo con le terre di Rocca S. Silvestro e Scoppito, un matrimonio politico che avrebbe portato al re molti vantaggi.
Gugliemo accettò e per questo fu nominato castellano dell’Aquila e Signore di Rocca S. Silvestro e Scoppito, ma egli preferì porre la propria residenza nel castello di Antrodoco dove rimase per alcuni anni, quattro sicuramente.
A lui il re affidò anche il controllo militare di tutta la vallata tra Antrodoco e L’Aquila e, in particolar modo, dei punti terminali che riteneva i poli nevralgici di una strategia politica assolutamente nuova, seppure complessa, rispetto al passato.
Guglielmo intanto molto si spese per migliorare la propria abitazione che aveva urgente bisogno di riparazioni e perché voleva renderla degna della sua posizione di importante castellano, ma questo compito risultò assai difficile poiché il denaro necessario per le migliorie da apportare al castello doveva provenire dalle tasse imposte agli abitanti del Castaldato, anzi a questi veniva chiesto di prestare anche il lavoro necessario.
Ne scaturì una rivolta, soffocata nel sangue, che richiese l’intervento del re Carlo I il quale il 1° novembre del 1270, per riportare la pace nei propri territori di confine, comunicò a Guglielmo che, visto che i vassalli di Rocca S. Silvestro e Scoppito, l’abate del monastero di S. Quirico e Giulitta e i vari Signori, si rifiutavano di prestare “operas” e pagare tasse per riparare il castello di Antrodoco, essi ne fossero esentati.
Diede inoltre ordine ai suoi ufficiali “scutifer” (portatori) di assegnare ad Antrodoco 275 once per pagare i servientes, ben cinquanta, che costituivano la guarnigione del castello.
La situazione generale però non era affatto tranquilla, anzi sempre più frequenti erano gli attriti di Carlo I con i feudatari, sostenuti da papa Clemente IV, tutti contrari al nuovo ordine stabilito con la fondazione della città dell’Aquila, ordine che, favorendo il trasferimento degli abitanti nella nuova città, minava alle basi il potere dei nobili che governavano i castelli.
Per questo motivo, sentendosi abbandonati dal loro re, si rivolsero al vescovo di Rieti che aveva la giurisdizione religiosa su tutta la giurisdizione amiternina, ma fu avversato dal vescovo dell’Aquila che nel frattempo invitava tutti i sacerdoti dei castelli fondatori della città ad abbandonare il contado, trasferirsi nella nuova città dove erano al sicuro protetti dalle mura, e lì costruire nuove chiese uguali o simili a quelle abbandonate, per continuare ad occuparsi dei propri concittadini.

Clarice Serani

Così doveva apparire il castello di Antrodoco ai tempi di Gugliemo da Palarago e Carlo I d’Angiò.