Antrodoco perno della politica imperiale
Le vicende che seguono accadono dal 1234- 1252 e sono rappresentate nel corteo storico dal rione SAN TERENZIANO. Il grande protagonista è ancora l’Imperatore svevo Federico II che più volte arriva ad Antrodoco e fornisce al castellano denaro e materiale da guerra per difendere la rocca.
L‘imperatore Federico II nel maggio del 1234 passa ad Antrodoco, con il figlio Corrado, diretto a Roma per offrire i suoi servigi a Papa Gregorio IX che era in difficoltà con i romani, sperando di riceverne in cambio che la città di Rieti veniat ad nostra servitia. Tornò ancora con gli stessi scopi nel 1239, ma senza raggiungere i suoi obiettivi.
In questo periodo egli era stato molto impegnato nel confine settentrionale, ma mai aveva trascurato il confine meridionale che visitava regolarmente appena poteva. Quando ciò gli era impossibile incaricava qualcuno di sua fiducia di farlo al suo posto. Nel 1239 incaricò Giovanni di Raimo da Capua di visitare personalmente i castelli che gli appartenevano per controllarne la sicurezza e la custodia, ma anche per sostituire i castellani e i servientes (soldati) non ritenuti affidabili, e per questo lo dotò di una forte somma di denaro.
Ma nei castelli che più gli premevano (Civitella, Arquata, Bertona, Palearia, Leporaniza e Antrodoco) dispose che nessun castellano doveva essere rimosso sine nostra coscientia, cioè senza che egli ne fosse messo a conoscenza.
Questo ci dice dell’importanza che egli attribuiva ad alcuni castelli che riteneva fondamentali per il controllo del suo impero e perciò affidava il loro governo a persone che riteneva incorruttibili ed era convinto che usassero i denari che ricevevano esclusivamente per la difesa e la fortificazione degli insediamenti che controllavano.
Intanto l’imperatore svevo fu fortemente preoccupato poiché gli era stato riferito dell’iniziativa di Rainaldo di Urslingen che stava cercando di raccogliere intorno a sé tutti gli scontenti che vedevano l’imperatore come un oppressore. Immediatamente egli incaricò Boemondo Pissono, giustiziere d’Abruzzo, di fare indagini, scoprire la verità e punire i colpevoli e affidò a Andrea di Cicala, capitano del regno, molti compiti: visitare tutti i castelli dei confini per verificare la situazione delle fortificazioni e la capacità di castellani e servientes; recuperare senza scandali alcuni castra controllati da un abate, forse l’abate dei SS. Quirico e Giulitta; attrarre a sé Rieti visto che ancora non era riuscito a convincere il Papa a cedergli la città.
Per tale scopo egli coinvolse tutti, o quasi tutti, i castelli che aderivano all’impero svevo, avendo come perno il castrum Introduci, perché potessero fare pressione sulla città e farla cadere in suo potere. Il 6 febbraio 1240 Federico II diede ordine ai custodi dell’erario di San Salvo a mare di affidare al messo speciale Simone de Ursone da Capua tutto il denaro che la curia aveva a disposizione perché egli lo portasse ad Antrodoco.
Ordinò poi a Rainaldo da Palermo di portare ad Antrodoco i leopardi della curia, simbolo della maestà imperiale, per attribuire al castello interocrino l’importanza necessaria ad attrarre altri castaldati.
Il 13 marzo diede ordine al giustiziere d’Abruzzo Boamondo Pissono di raccogliere a Viterbo instanter, quindi immediatamente, tutti gli introiti delle collette (tributi richiesti al popolo dal sovrano in presenza di eventi speciali, come le nozze della propria figlia o la dichiarazione di guerra a sovrani confinanti) perché li portasse nel castello di Antrodoco dove dovevano essere conservati al sicuro in attesa che arrivasse egli stesso a prelevarli.
Molta attenzione dunque fu data ad Antrodoco che doveva diventare, secondo Federico, uno dei più importanti capisaldi del sistema difensivo dell’Italia centrale sottraendo altri importanti castelli ai feudatari e passarli alle dirette dipendenze dell’Imperatore.
Federico II arrivò con tutta la corte ad Antrodoco il 19 marzo dove restò solo un giorno, giusto il tempo di ricevere l’omaggio del castellano Giacomo Da Castromare e prelevare la forte somma di denaro che vi era stata custodita.
Il 28 aprile allo stesso castellano chiese che la blida, una macchina da lancio molto innovativa di cui era dotato il castello di Antrodoco, fosse affidata al suo ambasciatore Roberto da Castiglione, con denaro, armi e tutto quanto poteva essere utile per l’assedio del castello di Alberici nel Cicolano.
Nel luglio del 1241 l’Imperatore svevo tornò ancora nel reatino per cercare di ridurre in suo potere la città di Rieti, ma invano.
Federico II morì a 56 anni il 13 dicembre 1250 a Ferentino di Puglia lasciando nel suo impero molti problemi irrisolti che in molti casi sfociarono in violenze ancora maggiori che in precedenza.
Nel nostro territorio si contesero Rieti, Rainaldo D’Urslingen ex duca di Spoleto, e i suoi nipoti Bertoldo e Rainaldo, figli del fratello Bertoldo, ma infine tutti vennero a patti. Rieti riconobbe al duca i diritti sui territori di Roccha de’ Fundo, Piscignola… Introduco et valle Introduci tota cum pertinentiis suis … e Roccha de Cornu… (Rocca di Fondi, Piscignola, Antrodoco e tutta la valle di Antrodoco con le sue pertinenze, e Rocca di Corno).
CURIOSITÀ
Federico cadde vittima di una grave patologia addominale durante un soggiorno in Fiorentino di Puglia, ma secondo alcuni invece, sarebbe stato avvelenato. Egli, difatti, qualche tempo prima aveva scoperto un complotto, in cui era coinvolto lo stesso medico di corte.
Leggenda vuole che a Federico fosse stata predetta dall’astrologo di corte la morte sub flore (sotto un fiore), e per tale ragione pare egli abbia sempre evitato di recarsi a Firenze. Quando egli fu informato del nome del borgo in cui era stato condotto per le cure necessarie, Castel Fiorentino appunto, Federico comprese e accettò la prossimità della fine.
Il sarcofago di Federico II nella Cattedrale di Palermo
Stando al racconto di un cronista inglese l’imperatore, sentendosi in punto di morte, volle indossare l’abito cistercense e dettare così le sue ultime volontà nelle poche ore di lucidità. La sua fine fu rapida e sorprese i contemporanei, tanto che alcuni cronisti anti-imperiali diedero adito alla voce, storicamente infondata, secondo cui l’imperatore era stato ucciso da Manfredi, il figlio illegittimo che poi gli successe in Sicilia.
La salma di Federico fu sommariamente imbalsamata, i funerali si svolsero nella sede imperiale di Foggia, e, per sua espressa volontà il cuore venne deposto in un’urna collocata nel Duomo. La sua salma fu omaggiata da moltitudini di sudditi, venne esposta per qualche giorno e poi fu trasportata a Palermo, per essere tumulata in Cattedrale, in un sepolcro di porfido rosso antico, come voleva la tradizione normanno-sveva, accanto alla madre Costanza, al padre Enrico VI e al nonno Ruggero II.
Recentemente il sepolcro è stato riaperto. Federico giace sul fondo, sotto altre due spoglie (quelle di Pietro II di Sicilia e di una donna dell’età di quasi 30 anni).
La tomba era stata già ispezionata nel settecento: il corpo mummificato era in buone condizioni di conservazione; risultò che l’imperatore era stato inumato con il globo dorato, la spada, calzari di seta, una dalmatica (ampia tunica fin sotto il ginocchio) ricamata con iscrizioni cufiche (arabe) e una corona a cuffia.